6771
Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino.
Consiglio di Stato, Sentenza 3 novembre 2020, n. 6771
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3504 del 2017, proposto da
Iv. Bi., rappresentato e difeso dagli avvocati Sy. Gr. ed Il. Mo., domiciliato presso la Segreteria Sezionale del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Al. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Terza n. 1572/2016.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 ottobre 2020 il Cons. Giordano Lamberti e preso atto che è stata presentata istanza congiunta di passaggio in decisione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 – Con atto notificato in data 31 maggio 2016, parte appellante ha proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato avverso l’ordinanza del Comune di (omissis) n. 8/2016, avente ad oggetto la demolizione di un locale di modeste dimensioni (circa metri 9,20 x 8,20), di una struttura in legno di metri 5,90 x 3,90, un barbecue ed una struttura in lamiera, poiché realizzati in assenza di permesso a costruire ed in assenza di autorizzazione paesaggistica.
2 – Il Comune di (omissis) ha presentato atto di opposizione al ricorso chiedendone, ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199, il trasferimento in sede giurisdizionale, presso il Tribunale Amministrativo per la Toscana che, con la sentenza n. 1572/2016, ha rigettato il ricorso.
3 – L’appello avverso tale pronuncia è infondato per le ragioni di seguito spiegate.
Il provvedimento impugnato sanziona, a norma dell’art. 31 del D.P.R. 380/2001, la realizzazione delle predette opere senza la sussistenza del relativo titolo edilizio e senza la prescritta autorizzazione paesaggistica.
Trattasi di un conseguenza necessitata a fronte dell’abuso realizzato, di cui parte appellante neppure contesta la sussistenza.
4 – Risulta pertanto infondata la prima censura con cui si eccepisce il difetto di motivazione del provvedimento impugnato, lamentando che il T.A.R. si sarebbe limitato al riguardo a delle mere affermazioni apodittiche e di stile, senza affrontare una concreta analisi dei rilievi di legittimità del provvedimento.
In generale, giova ricordare che, in relazione alla motivazione, la giurisprudenza di questo Consiglio è costante nell’affermare che l’attività di repressione degli abusi edilizi costituisce attività vincolata. Ne consegue “che l’ordinanza di demolizione ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove la repressione dell’abuso corrisponde per definizione all’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato, con la conseguenza che essa è già dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività ” (Cons. Stato, sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 903).
Nel caso in esame, il provvedimento impugnato descrive in modo dettagliato le opere abusive e chiarisce che: “le opere descritte in premessa, nel complesso, hanno determinato un organismo edilizio con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile, sono assoggettate a Permesso di Costruire ai sensi dell’art. 10 comma 1° lett. a) del DPR 380/2001, come anche disciplinato dall’art. 134 comma 1° lett. a) della LR 65/2014”, e che: “le opere edili realizzate ricadono in zona vincolata ai sensi dell’art. 136 del D Lgs 42/2004 istituita con D.M. 14/04/1989 oltre che in zona tutelata per legge ai sensi dell’art. 142 comma 1 lett. h) del D.Lgs 42/2004, ed accertato che le opere oggetto di contestazione sono state realizzate in assenza della prescritta Autorizzazione Paesaggistica di cui all’art. 146 del D.Lgs 42/2004”.
Alla luce di tali riferimenti deve concludersi che il provvedimento esplicita chiaramente i presupposti in fatto ed in diritto che hanno portato alla sua emanazione, dovendosi dunque confermare sul punto la decisione di primo grado.
5 – La natura vincolata del provvedimento impugnato esclude anche la rilevanza degli ulteriori rilievi di parte appellante.
Invero, non rileva che la zona su cui insistono le opere abusive sia già ampiamente edificata, urbanizzata e caratterizzata dalla presenza di manufatti e fabbricati residenziali, dovendosi aver riguardo alle sole previsioni normative che hanno costituito il vincolo, indipendentemente dal fatto che le stesse siano state rispettate (o meno) da altri soggetti.
La giurisprudenza ha precisato che l’avvenuta edificazione di un’area non ha alcun rilievo quando si tratti di proteggere i valori estetici o paesaggistici ad essa legati (cfr. Consiglio di Stato n. 3401 del 2012 e n. 4196 del 2011); ne consegue che l’avvenuta parziale compromissione di un’area vincolata non giustifica il rilascio di provvedimenti atti a comportare un ulteriore degrado, fermo restando l’obbligo di ripristinare lo stato dei luoghi secundum ius (cfr. Consiglio di Stato n. 4390 del 2013).
5.1 – Da un altro punto di vista, non è prospettabile che nella fase “sanzionatoria”, ovvero in un momento in cui le opere sono state illecitamente già edificate, l’amministrazione possa ovviare alla misura della demolizione attraverso supposte prescrizioni, tali da consentire al ricorrente l’adozione di rimedi più opportuni; e neppure che l’amministrazione sia onerata di un sforzo motivazionale atto ad evidenziare che l’interesse pubblico poteva essere salvaguardato solo con la demolizione delle opere, piuttosto che con possibili valide alternative.
Al riguardo, è sufficiente ribadire che si è al cospetto di un’attività vincolata, senza alcuno spazio all’interno del quale l’amministrazione possa valutare nel singolo caso l’opportunità della misura demolitoria.
L’eventuale (nel caso di specie neppure prospettata) legittimità sostanziale delle opere, in rapporto al regime dell’area sulla quale accedono, deve necessariamente essere valutata nell’ambito di un procedimento di sanatoria, non potendosi gravare l’amministrazione dell’onere di valutare d’ufficio tale eventualità . Tanto si evince dall’art. 31 e dall’art. 27 D.P.R. n. 380/2001, che impongono all’amministrazione comunale di reprimere l’abuso, senza alcuna valutazione di sanabilità, nonché dall’art. 36, che rimette all’esclusiva iniziativa del privato l’attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica.
5.1 – Vale un ana discorso in riferimento alla censura con cui si rappresenta che le opere edilizie sarebbero state ultimate nell’anno 2000 e sanzionate a distanza di ben sedici anni.
Sul punto, la giurisprudenza (Cons. St., Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 9) ha chiarito che “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino.
6 – Al rigetto dell’appello segue la condanna alle spese di lite, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta respinge l’appello e condanna parte appellante alla refusione delle spese di lite in favore del Comune, che si liquidano in complessivi Euro3.000, oltre accessori come per legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 ottobre 2020